I libri agiografici su santa Bakhita, la “Madre Moretta”, non si contano, editi in varie lingue e paesi. La Rai nel 2008 ha anche prodotto una mini-serie sulla sua vita, diretta da Giacomo Campiotti. Ma il libro della scrittrice francese Véronique Olmi, che Piemme ha tradotto da poco, è qualcosa di diverso. Tutto è partito tutto da un ritratto conservato nella chiesa di San Giovanni Battista di Langeais, nella Loira. Véronique Olmi non sapeva nulla di Bakhita, ma quando ha visto l’immagine di questa donna, e la didascalia che l’accompagnava è rimasta come folgorata.
Racconta la scrittrice, originaria di Nizza: “Bakhita era il suo nome da schiava e lei non ha mai più ricordato come si chiamava e neppure la sua vita prima della schiavitù. Ma come ha potuto vivere questa donna con un’infanzia cancellata insieme al suo vero nome? Pensavo di essermi sbagliata nel leggere la nota e invece era proprio così”.
Ci ricordiamo le vicende davvero eccezionali della biografia della santa sudanese: rapita a sette anni dal villaggio di Olgossa nel Darfur verso il 1875, e fatta schiava; salvata da un console italiano e poi condotta in Italia dove fu cresciuta in una famiglia veneziana; poi affidata alle suore canossiane, con le quali ha condiviso per tutto il resto della vita la stessa vocazione religiosa nel convento di Schio (VI); infine proclamata santa da Giovani Paolo II durante il giubileo del 2000.
Ammirando il suo ritratto nella chiesa di Langeais, la Olmi in un attimo ha visto comporsi nella sua mente una storia davvero fuori dall’ordinario: “È un romanzo, non una biografia. Le date, i luoghi e le persone importanti intorno alle quali è ruotata la vita di Bakhita sono veri, li ho presi dal compendio della sua vita “Storia meravigliosa”. Ma ho inventato alcuni personaggi secondari. Tutto doveva essere in funzione di Bakhita.”
Scrive l’autrice all’inizio del suo libro: “Bakhita non sa come si chiama. Non sa in che lingua sono i suoi sogni. Ricorda parole in arabo, in turco, in italiano, e parla alcuni dialetti. Bakhita parla un miscuglio di lingue e si fa fatica a capirla.”
Alla Olmi “interessava non tanto l’epilogo ma il percorso interiore. La sua assenza di rancore, di desiderio di vendetta, il modo in cui teneva alla vita, in cui la proteggeva come una cosa sacra.”
E sottolinea: “Nel suo ultimo respiro, lei immagina di trovare sua madre. E in tutte le sue battaglie c’è speranza, c’è luminosità nella sua storia, nonostante le terribili violenze subite che, ancora oggi purtroppo, non sono finite per tante donne del mondo. È una storia che ho scritto al presente.”
Véronique Olmi, 55 anni, scrittrice di successo nel suo paese, si augura con questo romanzo di “poter aiutare a parlare della schiavitù contemporanea. Da quando è stata abolita la schiavitù non vi sono mai state così tante schiave. E questo riguarda tutte le nazionalità, le nostre città e la nostra vita. Bakhita è una donna che ha combattuto, e molti in Francia dopo aver letto la sua storia terribile hanno detto di aver avuto voglia di restare ancora un po’ con lei”.
Il libro: Veronique Olmi, Bakhita, Edizioni Piemme, Milano 2018, pagine 370, € 19,50.
In Francia ha vinto il Premio FNAC 2017, ed è stato a lungo in testa alle classifiche dei best-sellers.
Le parole dell’autrice tratte sono da un’intervista concessa all’ANSA.