La Sierra Leone continua il suo difficile percorso di pace, riconciliazione e sviluppo tra ostacoli e turbolenze politiche. Il piccolo Paese dell’estrema punta centro-occidentale dell’Africa, stretto tra Liberia e Guinea, ha conosciuto un decennio di terribile conflitto (1991-2002) che vedeva schierati da una parte l’esercito regolare, dall’altra i ribelli del Fronte Unito Rivoluzionario appoggiati dalle forze speciali (NPFL).

In poco più di dieci anni, la guerra fece 50mila morti (su una popolazione di circa 4 milioni di persone) e causò esodi di massa, oltre ad innescare il fenomeno dei bambini-soldato, molto utilizzati da entrambe le forze in campo.

Chiusa la parentesi bellica, la Sierra Leone ha iniziato un percorso che l’ha condotta a una relativa pace e a una iniziale stabilità socio-politica che viene, però, interrotto da preoccupanti episodi di violenza. Il periodo che ha preceduto le elezioni del giugno scorso, ad esempio, è stato caratterizzato da rivolte che hanno causato morti e feriti e fatto alzare il livello di guardia. Sul finire dell’anno, un tentativo di colpo di Stato, e le tensioni che ne sono seguite, hanno fatto temere per un ritorno ai vecchi metodi.

Charles Edward Tamba, arcivescovo di Freetown

Rappresentanti della locale gerarchia ecclesiale, allarmati dalla situazione, hanno lanciato un appello e iniziative di persuasione rivolte alla popolazione affinché si ritornasse alla calma.

“La situazione al momento è calma – riferisce Charles Edward Tamba, arcivescovo di Freetown, interpellato dall’Agenzia Fides – e possiamo dire di aver passato un periodo natalizio in pace e serenità. Il tentativo di golpe del 26 novembre scorso (uomini armati hanno fatto irruzione in un’armeria militare e in diverse prigioni di Freetown, liberando quasi 2.000 detenuti, ndr) ha aperto un periodo di crisi. Si sono sentiti spari per lungo tempo, molti prigionieri sono stati liberati e si è temuto che fosse un preludio al caos. Per fortuna la situazione è rientrata poco dopo sotto il controllo del governo e molti di quelli che hanno condotto e partecipato al tentativo di colpo di Stato sono stati arrestati, la gran parte erano militari, alcuni associati all’ex presidente Ernest Bai Koroma (accusato di tradimento è al momento agli arresti domiciliari, ndr) e sono ora sotto processo”.

È del 10 gennaio la notizia dell’accusa emessa da un tribunale della Sierra Leone contro 27 soldati per il tentativo di colpo di Stato.
Le violenze di novembre sono avvenute cinque mesi dopo le elezioni che hanno visto l’attuale presidente Julius Maada Bio rieletto per un secondo mandato. Il periodo precedente alla tornata elettorale ha fatto registrare una costante crescita delle tensioni.

“Le violenze – puntualizza l’Arcivescovo Tamba – sono cominciate molto prima delle elezioni. Fin dall’agosto 2022 ci sono state proteste e si sono susseguite crisi preoccupanti lungo tutto il periodo pre-elettorale. Purtroppo ci sono stati anche morti, feriti. I manifestanti a Freetown, che chiedevano un cambio del governo di Julius Maada e puntavano a raggiungere il palazzo presidenziale, sono stati intercettati, e negli scontri hanno perso la vita decine di persone tra poliziotti, civili ma anche semplici passanti.

Proteste simili sono avvenute anche in altre città del Paese, alla fine il bilancio è stato di almeno sette morti tra i poliziotti, e ventuno tra i civili, anche se c’è chi parla di numeri maggiori. Purtroppo” prosegue l’Arcivescovo “siamo abituati a questo tipo di tensioni che riemergono ogni qual volta ci si avvicina al voto. Devo dire però che forse per la prima volta le elezioni si sono svolte pacificamente. Io ero coinvolto come osservatore e posso testimoniare di un’atmosfera generale di pace. Le tensioni sono sorte dopo, a risultati acquisiti: le opposizioni reclamavano una mancanza di trasparenza nella trasmissione dei dati e il report dell’Unione Europea in qualche modo gli diede legittimità (la missione di osservazione elettorale dell’UE in Sierra Leone evidenziò incongruenze statistiche, intimidazioni e violenze politiche nel suo rapporto finale sul voto di giugno, raccomandando una serie di misure per aumentare la trasparenza, la sicurezza e la libertà di espressione, ndr).

Ovviamente la questione fu molto controversa, alla fine l’Unione Africana (UA) e l’Ecowas (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale), hanno approvato i risultati e ratificato la vittoria di Maada. Ma le tensioni sono continuate. Noi come consiglieri osservatori abbiamo cercato di essere neutrali, ma ci hanno accusato di essere di parte. Per fortuna Ecowas, UE, UA e Commonwealth hanno favorito incontri col governo e con le opposizioni cui ha fatto seguito una dichiarazione congiunta in cui le due parti si impegnavano a lavorare insieme. Posso affermare con certezza che il dialogo prosegue”.

Sul finire del secolo, quando il conflitto civile cominciò a perdere consistenza, si innescò un difficilissimo percorso di riconciliazione e giustizia in una comunità divisa da anni di atrocità commesse da ambo le parti in guerra. Nel luglio 1999 venne siglato l’Accordo di pace di Lomé e istituita la Commissione per la verità e la riconciliazione. L’accordo portava le pesanti firme dell’allora Presidente Ahmad Tejan Kabbah e del leader del Fronte Rivoluzionario Unito (RUF) Foday Sankoh.

Dall’inizio del millennio, anche grazie all’impegno delle Chiese, sono stati compiuti grandi avanzamenti.

“Circa 11 anni di guerra civile sono difficili da cancellare – riprende l’arcivescovo – tantissimi sierraleonesi sono andati via. Alla fine della guerra, nel 2002, c’era bisogno di riabilitazione morale e fisica, bisognava ricostruire le strutture distrutte, permettere alla gente di riprendere possesso delle proprie case e dei propri beni, far ripartire le scuole, gli ospedali e dare il via a un processo di riconciliazione. La Commissione per la verità e la riconciliazione ha lavorato bene anche grazie al supporto della comunità Internazionale. Come Chiesa ci siamo da subito impegnati nella predicazione della riconciliazione concreta e del perdono.

Il ruolo di Caritas Sierra Leone è stato determinante sia a livello nazionale che locale, c’è stato un impegno quotidiano a lavorare per la riconciliazione. La Caritas ha anche avviato un programma di contrasto alle violenze di genere. Come Caritas e Chiesa siamo impegnati in un programma di coesione nazionale e insistiamo sempre nel richiamo alla calma e alla pace, come condizioni essenziali per la stabilità. Di recente, per la precisione lo scorso 23 dicembre, come vescovi lo abbiamo fatto anche attraverso un appello, intitolato ‘Affrontare le sfide e abbracciare la speranza: una riflessione sul viaggio in Sierra Leone’. Ma certo senza stabilità e calma, non c’è crescita, non c’è sviluppo. Il tasso di disoccupazione tra i giovani è ancora molto alto, un dato che ci preoccupa molto perché è terreno fertile per l’insorgere di nuove violenze”.

Fonte: Agenzia Fides

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