Suor Monique da 12 anni nel nord della Costa d’Avorio visita i carcerati e propone loro il cammino della fede, come via di autentica liberazione. Con semplicità ci racconta cosa è capace di fare la grazia di Dio in un carcere africano.

 Sono suor Monique, missionaria francese, da tantissimi anni in Costa d’Avorio. In precedenza ha operato in Ciad e Camerun, come nutrizionista per bambini denutriti, e in appoggio ad adulti alcolisti.

Dal 2009, due volte alla settimana, vado nel carcere di Korhogo, città nel nord della Costa d’Avorio, dove poco a poco si è formata una cappellania per la cura religiosa dei detenuti. Attualmente, in questo carcere costruito per 100 detenuti, sono 450 le persone recluse.

180 di essi vivono e dormono ammassati in un’enorme cella, lascio immaginare a voi in che condizioni. In mezzo a una grande maggioranza musulmana, ci sono una cinquantina di cristiani di diverse chiese.

Molti di loro hanno iniziato un vero cammino di fede da quando sono in prigione. La testimonianza della piccola comunità cristiana di questo luogo li ha attirati. In ogni cella, pregano insieme ogni mattina con la Parola di Dio.

Prima della pandemia, andavo una volta la settimana per un incontro di preghiera, nel quale ciascuno poteva comunicare al gruppo ciò che Dio stava realizzando nel suo cuore.

La luce della Parola di Dio veniva ad illuminare le loro domande. Si terminava con un breve momento di preghiera eucaristica, e poi i pochi cattolici battezzati potevano ricevere il pane dell’Eucaristia.

Che stupore sentire alcuni di loro dire: “Questa mattina, mi sono svegliato con il cuore felice!”. Sì, la grazia di Dio è offerta nella prova della detenzione! Siamo testimoni dello Spirito che lavora dentro queste mura.

E che emozione il giorno in cui, alla fine della Quaresima, i detenuti mi hanno dato una busta con dentro una somma di denaro: era la loro offerta quaresimale da offrire ai più bisognosi che vivono “fuori”. Come non pensare all’offerta della vedova del vangelo, che ha dato tutto quello che aveva per vivere?

Dall’inizio della pandemia nel marzo 2020, per misura sanitaria, i prigionieri sono stati privati di ogni contatto con il mondo esterno. Noi cerchiamo di mantenere ugualmente il legame tra i detenuti e loro famiglie, per mezzo dello scambio di lettere e altri documenti.

Sensibilizziamo le parrocchie della città, affinché offrano un pasto per tutti i detenuti a Natale e Pasqua. Per essi è un segno molto significativo: non sono dimenticati dai cristiani e dagli altri credenti che vivono “fuori”!

L’isolamento, che accentua la durezza della detenzione, è una prova anche per noi, il gruppo della cappellania. Perché, se questa missione ci mette in contatto con la dura realtà del male, questi fratelli detenuti sono anche coloro che ci evangelizzano in profondità, rendendoci testimoni privilegiati dell’opera di Dio in loro.

Suor Monique Lorrain,
Istituto delle suore Xavières

La testimonianza di un carcerato: “In prigione a causa della mia fede”

Kalifa è stato condannato a 20 anni, accusato ingiustamente di omicidio. Una vendetta del suo villaggio perché non voleva partecipare a riti tradizionali incompatibili con la sua fede cristiana.

Oggi è il leader della comunità cristiana nel carcere di Korhogo. Molti detenuti scoprono la fede attraverso di lui. Vive questa ingiustizia mettendo tutto nelle mani di Dio:

Da quando sono in carcere, ho capito che questo non è un luogo di tortura, ma piuttosto un luogo di insegnamento della vita. Quando ero fuori, pensavo che il carcere fosse per i malfattori. Ma quando ci sono arrivato, ho scoperto che è un luogo di purificazione perché ci avvicina a Dio.

Ho trovato in carcere persone che, fuori, non erano credenti, e qui hanno iniziato a pregare. Ho visto un cambiamento in loro. Quando dai la tua vita a Dio, non sei più tu che vivi, è lo spirito di Dio che vive in te. Diventi un uomo libero perché non ti fidi più di ciarlatani e stregoni.

Ora cammini nella luce perché il tuo unico protettore è Dio. Anche se soffro, non sono solo, Dio è con me. L’ho capito bene in prigione perché tutta la mia grande famiglia mi ha abbandonato, ma Dio è con me e veglia sulla mia piccola famiglia.

Già 6 anni di carcere, ma sono sano! Dio è meraviglioso ed è bene credere solo in lui.

Questo è il mio appello per tutti i miei fratelli e sorelle: la sofferenza non deve impedirci di seguire Dio, non importa quanto tempo ci voglia.”