Una figlia della diaspora ghaneana a Londra torna nella sua terra e scommette sulla cultura, mettendo a disposizione i suoi (tanti) libri di narrativa e saggistica di autori dei 54 paesi africani. Il progetto ha l’ambizione di avvicinare la gente ai libri, diffondere storie africane e crearne di nuove.
Cosa fare con oltre 4.000 libri che riempiono ogni casa in cui hai vissuto? Ma una biblioteca, naturalmente.
La “collezionista di libri” è Sylvia Arthur, nata e cresciuta a Londra da genitori ghaneani, esperta di comunicazione e consulente per l’Unione europea; la biblioteca è la Library of Africa and the African Diaspora (Loatad) e si trova ad Accra (Ghana).
Un luogo dove leggere e prendere in prestito libri, ma anche uno spazio per eventi, dibattiti, e writers in residence, sede che ospita scrittori per lavorare su progetti specifici. Quei libri – a cui continuano ad aggiungersene grazie a donazioni che arrivano da tutto il mondo – hanno un obiettivo: decolonizzare la mente.
È una biblioteca “decolonised”, si legge nella presentazione sui social, costituita al 90% da opere di africani o afrodiscendenti. Scrittori che si sono riappropriati del diritto alla propria narrazione, alternativa e unica rispetto a quella occidentale. Una biblioteca panafricana, che unisce sugli scaffali opere che rappresentano tutti i paesi del continente, ma che soprattutto vuole recuperare le esperienze delle diaspore.
Il Ghana, negli ultimi anni, è stato luogo di arrivo di molti afrodiscendenti provenienti soprattutto dagli Usa e isole dei Caraibi. Singoli e intere famiglie attirati dall’Year of Return, iniziativa del governo che invita la diaspora africana sparsa nel mondo al ritorno a casa. Sylvia Arthur, anch’essa figlia della diaspora, non ha problemi a definire l’iniziativa «puramente commerciale.
Loatad, allora, vuole essere questo: ripensare e riflettere coscientemente alle proprie storie, diffonderle e crearne di nuove. Abbiamo incontrato la fondatrice di Loated nell’accogliente sede della biblioteca a West Legon, una delle zone più chic della capitale ghaneana.
Sylvia come nasce l’idea di questa biblioteca?
Sylvia: Comincia nel 2011, ma ci sono voluti sei anni per realizzarla. Mi ero trasferita per lavoro a Bruxelles. Ero sempre molto sola. Così non facevo altro che acquistare libri e leggere. Libri che si sono aggiunti a quelli che avevo lasciato a Londra. Alla fine ne avevo accumulato migliaia. Li ho messi negli scatoloni e li ho spediti nella casa di mia madre, a Kumasi. Ogni volta che li guardavo pensavo fosse uno spreco, volevo che anche altri ne beneficiassero.
Una biblioteca della diaspora, anche tu sei tornata alle radici …
Sylvia: Sì, è vero. Ho vissuto a Londra, in America, Barcellona, Bruxelles. Dopo la Brexit ho capito che le cose in Europa stavano cambiando, così ho scelto il Ghana.
In un paese dove è difficile trovare libri di narrativa, saggistica, romanzi (si trova in sostanza solo la Bibbia e libri di self help) questa biblioteca è una grande novità e opportunità. Però, diciamolo, è uno spazio elitario.
Sylvia: Non lo si può negare. I ghaneani che vengono qui sono persone colte, hanno frequentato l’università, qui o all’estero, e cercano libri a cui avevano accesso quando erano in Europa, negli States, ma che qui non riescono a trovare. Poi, molti sono quelli della diaspora e gli espatriati. L’accesso prevede una sottoscrizione di 600 Ghana cedi annui (84 euro), 400 per i bambini. La maggior parte della gente spende volentieri 50 cedi per sedersi a mangiare, però non li spenderebbe per una sottoscrizione in biblioteca. Ma ai libri bisogna dare valore. In Ghana non si legge, è vero, qui facciamo anche eventi aperti a tutti e quando le persone vengono per una performance teatrale, musicale o poetica hanno l’occasione di vedere tutti questi libri. Allora nasce un interesse, una conversazione, stare in mezzo ai libri stimola. In Ghana, specie per quelli che non hanno mezzi e devono guadagnarsi la vita giorno per giorno, leggere è l’ultima priorità. Il beneficio di mandare i figli in strada a vendere è immediato ma quello di insegnare a un bambino a leggere ripaga molti anni dopo. Ci vorrebbe un bilanciamento tra necessità di guadagno e investimento sulla cultura.
A proposito di questo: una parte dei libri sono stati utilizzati per aprire tre biblioteche scolastiche in tre aree del paese.
Sylvia: È anche perché ci sono persone che pagano la sottoscrizione che abbiamo potuto regalare libri alle scuole e i lavori per lo spazio fisico. Ci sono anche ragazzi che hanno ricevuto una sottoscrizione da sostenitori che sono all’estero.
Come è organizzata la biblioteca?
Sylvia: Abbiamo circa 4mila libri, alcuni fuori stampa, libri speciali che non esponiamo qui. Uno di questi è la copia dell’autobiografia di Kwame N’Krumah da lui autografata. Ma anche la collezione completa di Ayi Kwei Armah, l’autore di The beautiful ones are not yet born. Nella sezione Africa ci sono autori dei 54 paesi africani. Poi ci sono i caraibici, la sezione UK ed Europa, America. Quella dell’Africa precoloniale e della storia del continente e poi una di autori da tutto il mondo. I libri sono catalogati online e chiunque può accedervi.
Il progetto ha tre filoni: produzione, preservazione e disseminazione culturale. Ci spieghi meglio.
Sylvia: La letteratura della diaspora è per noi uno stimolo per creare conoscenza. Cito eventi che abbiamo fatto o in preparazione: women reading women in cui lettrici propongono nuove opere (in questo caso di donne) o women speaking women, che ha previsto una serie di interviste per collezionare storie orali nei linguaggi nativi. Rimarrà in archivio come letteratura orale. Questo è l’aspetto della produzione. Poi c’è l’archivio, per noi è molto importante. Anche per far capire che la letteratura africana non è cominciata nel 1958 quando Achebe pubblicò Things fall apart. Abbiamo scritto molto, anche prima di allora. E questo è andato un po’ perduto nel discorso occidentale sulla letteratura africana. Come disseminazione culturale intendiamo la biblioteca stessa, l’accesso ai libri, poter portarseli a casa.
Le donne hanno una presenza forte nelle vostre iniziative. Come mai?
Sylvia: Nonostante il Ghana sia una società patriarcale, le donne hanno molto potere. Per dirne una, hanno il monopolio delle attività nei mercati, sanno come fare soldi, controllarli, organizzare la gestione di casa e famiglia. Quello che va valorizzato e capito, da parte delle stesse donne, è la misura del proprio spazio. Si può avere successo negli affari ma a fine giornata devi ricordarti sempre che sei – e devi essere – madre e moglie. In questa società acquisisci rispetto quando sei moglie e madre. E sono le stesse donne a rinforzare questo modo di pensare.
Per finire, qual è oggi il tuo desiderio per questo progetto.
Sylvia: Per me è importante riuscire a portare le comunità dentro la biblioteca. Facciamo progetti all’esterno – soprattutto con i giovani – per sensibilizzare alla lettura e alla creatività, ma le persone di ogni quartiere devono sapere che qui possono venire e non sentire questo posto come esclusivo. Qui devono sentirsi a casa.
Antonella Sinopoli, Nigrizia