Non capita spesso che a Milano in tre posti diversi, e molto prestigiosi, si dia il posto d’onore all’Africa.
Cominciamo dal Mudec, il Museo delle Culture, di via Tortona 56. Prorogata fino al 6 gennaio l’esposizione dell’istallazione “Se a parlare non resta che il fiume. Ambiente sensibile per le tribù della Valle dell’Omo”. È stata realizzata da Studio Azzurro e dalla fotografa americana Jane Baldwin, che da anni visita quella regione dell’Etiopia. Partita come fotografa, dice che il suo contatto con quella gente e il loro ambiente “è divenuto un’opera multisensoriale e immersiva sulle donne, la cultura, i diritti umani e le problematiche ambientali che minacciano i popoli indigeni della bassa valle dell’Omo in Etiopia e del lago Turkana in Kenya. La mostra è “un viaggio multimediale e poetico lungo le rive del fiume Omo, dove i visitatori, circondati dalle voci e dalle parole dei suoi abitanti e al cospetto dei loro volti, interagiscono con le protagoniste donne, depositarie delle tradizioni orali attraverso racconti, miti e canti”. La mostra sostiene l’azione di Survival International a favore dei popoli idigeni.

Una seconda mostra rende omaggio al fotografo Daniele Tamagni, e in particolare alla sua opera che l’ha reso famoso in tutti il mondo: “Gentlemen of Bacongo”. All’Urban Center (in Galleria Vittorio Emanuele II), centro espositivo del Comune di Milano, sono protagonisti i “Sapeurs” del Congo, cioè i membri del curioso gruppo Sape, la “Société des Ambienceurs et des Personnes Elégantes – Società di persone eleganti che creano ambiente”.
Nato come fenomeno sociale in epoca coloniale nel quartiere popolare di Bacongo, a Brazzaville, capitale della Repubblica del Congo, è diventato un movimento di opposizione culturale e politica alla dittatura di Mobutu a Kinshasa, nell’ex-Zaire. Mobutu aveva vietato di vestirsi all’occidentale, in nome di un ritorno “all’autenticità” congolese. Voleva però solo reprimere ogni dissidenza che si ispirava alle idee liberali e democratiche dell’Europa. Le foto in mostra rivelano lo stretto rapporto di fiducia e di autentica simpatia che l’autore è riuscito a instaurare con i soggetti . Fino al 25 gennaio.

E sempre che siamo in Galleria, vale la pena fermarsi anche all’Osservatorio della Fondazione Prada, per ammirare “The Black Image Corporation”, una selezione di splendide fotografie ricavate dagli archivi delle riviste afro-americane “Ebony” e “Jet”. La mostra ricostruisce la cultura black nei primi anni del secondo dopoguerra. Le fotografie ci offrono una panoramica sull’élite sociale afroamericana e una cronaca patinata di temi come la politica, l’auto-aiuto, lo sport, la bellezza e la sessualità. Fino al 14 gennaio.