Ubah Cristina Ali Farah (Verona, 1973) è una scrittrice e poetessa italo-somala.

Nata da padre somalo e madre italiana, si è spostata all’età di tre anni con la famiglia a Mogadiscio, in Somalia, dove è rimasta fino allo scoppio della guerra civile nel 1991. Fuggita dal paese, dopo alcuni anni trascorsi a Pécs (Ungheria), è tornata in Italia e si è stabilita a Roma. Attualmente vive a Bruxelles.

È autrice di tre romanzi, Madre piccola (Frassinelli, 2007; in riedizione da 66thand2nd), Il comandante del fiume (66thand2nd, 2014) e Le stazioni della luna (66thand2nd, 2021). Ha svolto un dottorato di ricerca di africanistica all’Università l’Orientale di Napoli sul teatro popolare somalo. Ha partecipato a numerosi programmi internazionali di scrittura creativa tra cui L’International writing program della University of Iowa e quelli della Civitella Ranieri Foundation e dello Stellenbosch Institute for advanced study.

Nel 2006 si è aggiudicata il premio Lingua Madre e nel 2008 il premio Vittorini.  Attualmente sta lavorando al progetto Oral history for peace building con l’UNDP (Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo) in Somalia.

Le Stagioni della luna

Non è solo nostalgia del paese in cui è cresciuta e di cui si sente figlia perché ne ha imparato la lingua, quella somala dalla madre di latte, ma anche il desiderio di rivivere la cultura assimilata nell’infanzia che farà incontrare Clara, ormai giovane adulta, con Ebla la madre di latte e con i suoi figli, amici mai dimenticati.

Chi legge “Le stagioni della luna” si avvicina alla cultura tradizionale somala che cambia di canale di tradizione, perché la donna vale quanto l’uomo ed inoltre sa apprezzare la libertà delle decisioni importanti che può prendere da sola, come quella di scegliere l’uomo che ama e che diventa lo sposo della sua vita ed inoltre può aderire senza paura al gruppo di patrioti che lottano per la democrazia di tutto un popolo. Il colonizzatore italiano in un periodo oscuro per tanti di noi prenderà la maschera di amministratore fiduciario in Somalia, dopo la seconda guerra mondiale, ma i protagonisti in cui l’autrice si immedesima non ne possono accettare i metodi, ne tanto meno le pretese rimaste quelle dell’Impero coloniale, sconfitto in guerra, ma ancora presente nelle vecchie colonie create per trovare terre fertili, espropriando senza ragione il popolo somalo. La scuola, la poesia, il canto in lingua somala sono rivoluzionari per arrivare alla libertà e alla democrazia.

C’è una stagione dove spunta all’orizzonte una libertà rivendicata per la quale si combatte e che non può tardare a venire. In questa lotta la donna e l’uomo si sentono ambedue coinvolti senza supremazia dell’uno sull’altra e dove il colore della pelle non conta, perché tutte le ragazze di Ebla “sono unite nella resistenza”.

p. Vito Girotto

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