La stampa missionaria conosce bene il dottor Denis Mukwege, vincitore del Nobel per la Pace del 2018, insieme alla yazida Nadia Murad.

Il calvario del popolo congolese non è argomento che di solito attira le pagine di politica internazionale di siti e giornali italiani. Ma noi missionari non obbediamo alle leggi di mercato, e quando una storia merita di essere raccontata, quando la testimonianza di vita di una donna e di un uomo, anche se vengono da un angolo sperduto della terra, rende migliore il nostro genere umano, vogliamo farla conoscere ai nostri lettori.

Una firma storica della stampa missionaria, la giornalista Anna Pozzi, con discrezione e rispetto da anni cerca di far conoscere a un pubblico più vasto l’opera e la vita del “dottore delle donne stuprate”, Denis Mukwege. Lo fa sulle pagine di Mondo e Missione, di Avvenire, di Jesus.

Riferendoci a quanto ha scritto in questi anni, le chiediamo in prestito qualche parola, per comunicarla a voi, nostri lettori.

Il 2013 è stato un anno difficile per il dott. Mukwege. I miliziani si avvicinano sempre più a Bukavu, dove lui dirige il reparto dell’ospedale Panzi in cui vengono accolte e curate le donne stuprate nel conflitto che da anni devasta l’est del Congo. I miliziani di varia appartenenza lasciano dietro di loro una scia di sangue e distruzione. Ma chi soffre di più sono le donne: violentate, torturate, rapite, massacrate di botte, ridotte a schiave sessuali, donne di tutte le età e appartenenza sociale. Persino quelle ricoverate in ospedali e ambulatori non vengono risparmiate.

Un anno prima il dott. Mukwege aveva dovuto scappare all’estero, perché minacciato di morte dopo aver denunciato alcuni signori della guerra responsabili di crimini contro l’umanità. Era sopravvissuto per miracolo a un tentativo di assassinio. Ma lontano da Bukavu, dal suo ospedale, dalle donne ricoverate nel suo reparto, non resiste. Allora lascia la sua famiglia al sicuro, e lui ritorna nell’inferno dell’est del Congo.

Anna Pozzi, che lo aveva incontrato qualche tempo prima, riesce a raggiungerlo al telefono. Riporta il suo colloquio su Mondo e Missione.

Il medico racconta che prima di fuggire un gruppo di donne gli aveva affidato un biglietto, con scritto un messaggio da trasmettere a chi avrebbe incontrato fuori da Bukavu e dal Congo, in quel mondo che si considera civile: “Molte di noi donne congolesi siamo vittime ogni giorno da quindici anni di stupri, violenze sessuali, mutilazioni, torture e altri veri e propri atti di barbarie. Tutto questo è intollerabile, insopportabile ed è durato già troppo. La donna congolese si sente macchiata, umiliata, calpestata, colpita nella sua dignità di donna, di moglie e di madre. E il mondo fa finta di non vederla. Fate qualcosa per noi!”

 

Le donne hanno fiducia solo in lui. Tutti gli altri uomini, i politici, i corpi di pace dell’Onu, i cooperanti delle Ong, le hanno deluse. Lui solo ha saputo riconoscere la loro umanità ferita e umiliata. Le ha accolte, visitate, operate, sostenute psicologicamente, ha aperto loro uno spiraglio di futuro. Sono diverse migliaia ogni anno quelle che passano dal suo ospedale, eppure sono solo una goccia nel mare delle donne vittime di stupro come arma di guerra in Congo, e in altre parti del mondo in guerra.

La violenza contro le donne – dice per telefono ad Anna – ha assunto una dimensione e una gravità inaudite. Non parliamo più solo di stupri, ma di vere e proprie torture. In alcuni villaggi tutte le donne sono state violentate, rapite, ridotte a schiave sessuali, contagiate dall’Aids; un trauma per tutta la comunità, che provoca la distruzione della struttura e della coesione sociale”.

E il dottore continua: “Molte ragazze sono state rapite in foresta e usate come schiave sessuali dai ribelli. Alcune di loro hanno partorito in condizioni difficilissime. E anche quando riescono a scappare o vengono liberate, spesso non possono tornare a casa con il figlio del ‘nemico’. ‘Il figlio di un serpente è un piccolo serpente’, si dice da queste parti. Tutta la società è traumatizzata da quest’ondata di violenze sulle donne. Per questo cerchiamo di curare non solo loro, ma anche di creare le condizioni perché possano ritornare in famiglia o al villaggio. Oggi è tutta la nostra società che ha bisogno di essere curata.

Guarda alcuni video sul dott. Denis Mukwege:

● Stupri in RDC: Denis Mukwege, “Non si usino più le donne come campi di battaglia”, breve reportage di Euro News in italiano

● Il trailer del film che i belgi Thierry Michel e Colette Braekman hanno girato su di lui: “L’homme qui répare les femmes. La colère d’Hippocrate”

● Lungo documentario in francese sulla sua vita e la sua opera