L’arte contemporanea africana sta conquistando un posto sempre più centrale sempre più centrale nel panorama artistico mondiale. La ricerca di novità espressive che possano incuriosire e coinvolgere il pubblico, da un lato, e l’innegabile originalità insita nelle differenti opere, sono tra gli elementi principali che spingono esperti e critici d’arte a dare sempre più voce e spazio ai nuovi linguaggi espressivi provenienti dall’Africa. In taluni ambienti si parla di “primavera africana”, per indicare come il resto del mondo si stia accorgendo di quanta geniale creatività giunga da un continente pieno di un effervescente dinamismo.

Gonçalo Mabunda: le armi diventano un’opera d’arte

Gonçalo Mabunda è nato nel 1975 a Maputo, in Mozambico, proprio nell’anno in cui il suo paese conquistava l’indipendenza dal Portogallo, e nello stesso tempo sprofondava in una lunga e sanguinosa guerra civile. È cresciuto avendo costantemente negli occhi le immagine della violenza, delle armi, della distruzione.

Finita la guerra nel 1992, comincia a studiare l’arte e frequenta gli ateliers di artisti. Tre anni più tardi entra in contatto con il CCM (Consiglio Cristiano del Mozambico), che ha lanciato una campagna per raccogliere in tutto il paese le armi fuori uso: kalashnikov arrugginiti, vecchie pistole, bussolotti di proiettili, razzi, bombe e mine disattivati. Il CCM presenta questo materiale bellico a un gruppo di artisti e chiede loro: “trasformate queste armi da strumenti morte in segni di speranza”.

Gonçalo ne è ispirato e comincia a realizzare le sue opere. Saldando insieme pezzi di armi, crea maschere simili a quelle che si usano nei riti tradizionali dei villaggi mozambicani, o troni che imitano quelli dei capi tradizionali. Maschere e troni sono simboli del potere in Africa, un potere spesso mantenuto e conseguito con la violenza.

Ma Gonçalo disattiva la carica distruttiva di quelle armi, e lancia il suo messaggio di pace al suo popolo e a tutto il mondo, affinché, come scriveva due mila cinquecento anni fa il profeta Isaia: le lance e le spade siano fuse per creare strumenti di pace.

Le sue opere sono state esposte nei più famosi musei del mondo. Qualcuna di queste opere le hanno ammirate anche i visitatori italiani, in due mostre organizzate a Milano nei primi mesi di quest’anno, una dedicata ai nuovi artisti africani e l’altra al design.

Billie Zangewa e le sue donne resilienti

La sua infanzia è stata caratterizzata da vari spostamenti e viaggi nella regione dell’Africa Australe, esperienze diversificate che in qualche modo hanno formato in lei un imprinting indelebile, incentrato su una visione a 360 gradi della vita. Billie Zangewa è nata nel 1973 a Blantyre, in Malawi, è cresciuta a Gaborone, in Botswana, e adesso vive e a Johannesburg, in Sudafrica, nazione che conosce bene grazie alla madre sudafricana. Specializzatasi nelle arti tessili, Zangewa è famosa per le sue narrazioni visive su seta.

Le sue creazioni rappresentano racconti in cui protagoniste sono donne consapevoli della loro forza, delle loro radici, così come dei problemi quotidiani, che affrontano con grande coraggio e resilienza. Il processo creativo che la conduce a realizzare ritratti contemporanei di donne parte da esperienze personali o catturate in vari ambienti; poi gli eventi si trasformano in emozioni, che a loro volta diventano immagini.

Zangewa, essendo madre di un bambino di sei anni, ha trasposto nelle sue opere i doveri, le responsabilità, ma anche l’amore che una mamma nutre verso il figlio. Ma Vie en Rose ne è un bell’esempio.

Altre opere di Mabunda (le prime tre) e di Zangewa (seguenti)
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