Floribert è stato ucciso a 26 anni in Africa: con la sua vita, ha offerto una testimonianza forte di onestà e di rifiuto di ogni compromesso. Attualizzando le parole del Vangelo, ha avuto il coraggio di dire “no” a un guadagno facile, mettendosi al servizio dei più poveri del suo Paese e scegliendo la strada del martirio.
La vicenda di Floribert Bwana Chui, giovane responsabile dei controlli alla dogana di Goma (Congo), è una “piccola” storia di un uomo grande. O meglio, la testimonianza di un cristiano in Africa, ucciso a 26 anni per aver rifiutato di far passare una partita di riso avariato alla frontiera. Leggendo il Vangelo, aveva deciso di rimanere con le mani nude ma pulite, rifiutando l’idolatria del guadagno facile e quella rassegnazione furba, pronta al compromesso, che mormora: “Tanto lo fanno tutti”.
La storia di Floribert si intreccia con quella della regione del Kivu, area di ricchezze naturali ma devastata da anni di guerra e scontri interetnici. Era nato nel 1981, in una famiglia tutto sommato benestante che gli permise di frequentare bi=buone scuole e laurearsi in Giurisprudenza, in un luogo in cui tutti i giovani conoscono le sette regole per sopravvivere nella capitale Kinshasa, una volta definita Kin la belle e oggi trasformata in la poubelle (la pattumiera) da un amaro gioco di parole. Tra questi “comandamenti”: “Non aver compassione di nessuno” e “Non credere che sarai proprio tu a raddrizzare il Congo”.
Floribert scelse un altro Maestro: “Sapeva di aver ricevuto più di altri, però tale vantaggio non si traduceva in un ripiegamento su di Sé,” racconta Francesco de Palma che ne ha appena pubblicato la biografia. Si impegnò in politica, contro ogni etnicismo, e nelle organizzazioni giovanili, ma soprattutto nel 2000 aveva iniziato con un gruppo di amici la Comunità di Sant’Egidio di Goma, dopo aver conosciuto, in un incontro in università, ciò che questo movimento stava facendo nel vicino Rwanda. Della preghiera con la Comunità amava il legame con il quotidiano. “Dio non è una macchina fatta per esaudire le mie richieste; la preghiera mi aiuta a comprendere ciò che succede”. I suoi amici lo ricordano cantare con gioia la résurrection pour l’Afrique, che indica la resurrezione del continente come un compito per i cristiani. “Quando eri arrabbiato”, racconta l’amica Carine, “non ti lasciava andare finché ti eri calmato. Ripeteva che non si doveva nutrire nessun rancore”. Soprattutto, diceva Floribert, “l’uomo di pace è amico dei poveri”.
Floribert Bwana Chui viveva quest’amicizia nei quartieri più malfamati, andando a trovare i ragazzi di strada, che a Goma molti volevano cacciare. “Non appena aveva qualche soldo in tasca, lo usava per loro”, ricorda il padre. Per alcuni, divenne un fratello maggiore: a Jonathan, 14 anni, quando scoprì che era rimasto orfano, spiegò che la Comunità sarebbe diventata la sua mamma.
Nella famiglia di un ragazzo, cresceva la forza debole di un credente. Laureatosi, il padre sperava che avrebbe tentato un dottorato all’estero, ma lui gli spiegò che occorreva vivere da cristiani a Goma. Ottenne un buon posto alla dogana: responsabile dei controlli sul cibo scaduto, un posto dove la tangente era la norma in un Paese al 160˚ posto su 176 nell’Indice sulla corruzione. A un amico confermò le tante pressioni: “Ma non voglio cedere. Se non distruggessi ciò che dannoso per la salute di tanta gente, se accettassi di farmi corrompere, sarebbe come se accettassi la mia, di distruzione”. Del resto, si legge nel Siracide: “Niente è più empio dell’uomo che ama il denaro, poiché egli si vende anche l’anima.”
Nell’estate 2007, le pressioni per un carico si fanno più forti, ma floribert ripete il suo “no”. Seguono le minacce e il giovane chiama Jéanne-Cécile, amica della prima ora della Comunità, nel frattempo diventata suora e medico. Quella telefonata è il suo personale Orto degli Ulivi, l’estremo tentativo di chiedere se quel calice dovesse per forza essere bevuto.
L’amica gli conferma che il cibo avrebbe fatto male a molti e allora Floribert risponde, senza esitazioni: “È meglio morire che accettare quei soldi. Come cristiano non posso permettere che si sacrifichi la vita di qualcuno”. Sceglie di non vendersi in cambio dei “30 denari”, che a Goma diventano 3 mila dollari. Il 7 luglio Floribert viene rapito, il suo cadavere viene ritrovato due giorni dopo. Al funerale, il vescovo di Goma, monsignor Ngabu, dirà: “Quel che ha vissuto è stato un modo forte di vivere la vita cristiana. Ha vissuto da forte”.
Stefano Pasta
in: CREDERE, n˚ 2 – 11 gennaio 2015