Negli uffici statali e le ONG si lavora solo mezza giornata. Il venerdì pomeriggio è libero per la preghiera alla moschea e le opere di carità. Si leggono parti del Corano e lo si applica alla vita quotidiana e alla politica. Le donne stanno dietro oppure fuori dell’edificio. I bambini si infiltrano seminascosti dai papà. I mendicanti, i malati e gli altri poveri aspettano l’elemosina al calore del sole. I venerdì di Niamey erano così. Nulla di più e neanche nulla di meno. Fino a rasentare la banalità del quotidiano non fosse per i parcheggi anarchici delle fuori strada. Finchè, senza escludere complicità, sono iniziate predicazioni ogni volta più aggressive. Le idee dell’Arabia Saudita si innestano coi soldi e gli aiuti del Qatar. Gli insegnamenti delle università islamiche, l’influenza della vicina Nigeria e il vuoto di futuro hanno generato una miscela esplosiva. Da tempo gli SMS minacciavano chiunque andasse in chiesa. Fino all’ultimo venerdì di Zinder.
Era il venerdì 16 gennaio appena passato. L’attacco è promesso da una lettera pubblicata il giorno prima e del tutto ignorata dalle autorità. La preghiera del venerdì di Zinder si è terminata sulle strade e nei luoghi di culto cristiani. Bottiglie molotov, copertoni, sassi e bastoni nel caso non bastasse quanto elencato. L’assedio a centinaia di cristiani è durato ore prima che la polizia intervenisse. Il campo militare della città ha salvato la loro vita e tradito la vita comune. Tra loro c’erano stranieri e residenti nella città da decenni. In poche ore si è cancellata una storia per scriverne un’altra dai contorni feriti. 5 i morti e l’evacuazione necessaria di oltre un centinaio di fedeli nella capitale Niamey. Scortati, accompagnati, consolati e accolti in un centro appena fuori della città. Sono arrivati di venerdì. Una settimana dopo. Dicevano di aver timore anche del nome. Il venerdì non tornerà più un giorno qualsiasi da passare a casa coi bambini finita la scuola.
Gli altri venerdì sono quelli di quaresima. Pure a Niamey si fa la ‘via crucis’ nei cortili o dentro le chiese della città. Quelle distrutte sono state ufficialmente 45. Gli hotel danneggiati senza i quadri del Calvario sono stati 5. I bar bruciati dove si beve birra e si vendono le cose belle a poco prezzo con straniere sono stati 36. Passando si vedono le finestre bruciate con tracce scure di fumo tra i muri gonfiati dal calore. Perfino il noto ristorante notturno ‘Le Colline’, all’uscita di Niamey, è stato saccheggiato. Si era da tempo ingrandito. Una terrazza con vista sulla città e piani rialzati con camere a ore. Aperto a tutti coloro che hanno i sodi per permetterselo. Poche ore per avvicinare il paradiso perduto qualche tempo prima in circostanze poco chiare. In alcuni edifici di culto mancano i muri per appendervi le stazioni della passione. In altri le croci sono adesso molte di più.
Per prima cosa, gli feci capire che il suo nome sarebbe stato Venerdì, che era il giorno in cui gli avevo salvato la vita. Gli detti quel nome a ricordo di quella data. Ugualmente gli insegnai a dire ‘padrone’, e poi gli feci sapere che doveva chiamarmi con quel nome. Gli insegnai a dire ‘si’ e ‘no’, e a capirne il significato. Gli detti del latte in un vaso di terracotta e mi feci vedere a berlo ed inzupparvi il pane; e gli detti un pezzo di pane perchè facesse lo stesso, e lui obbedì prontamente. (Daniel Defoe, Le avventure di Robinson Crusoe). Venerdì è anche un nome proprio. L’altro è ‘padrone’. Bene aveva visto l’autore quello che sarebbe accaduto gli altri venerdì della storia. Poi si impara a dire si e poi no e a capirne il significato. Il latte in vaso di terracotta e il pane inzuppato. Una colazione da re nell’isola perduta. Lui obbedì prontamente come ci si aspetta da un suddito a cui si è salvata la vita. La storia delle conquiste occidentali è cominciata con un venerdì.
Chi scrive è nato di venerdì. Secondo i nomi propri legati ai giorni della settimana era stato ribattezzato Koffi. Correvano gli anni passati in Costa d’Avorio. In quel tempo i venerdì erano utili per sapere chi era nato quel giorno. Si faceva la gara nella questua della domenica coi nati negli altri giorni della settimana. Noi si vinceva di rado.
Mauro Armanino, Niamey, febbraio 2015