Il Ruanda, detto anche il “Paese dalle mille colline”, nel 1994 è stato inondato da un bagno di sangue: per cento giorni, dal 7 aprile sino all’inizio di luglio, si è attuato un vero e proprio genocidio. Questa terribile pagina della storia ruandese l’abbiamo approfondita in uno Speciale, diviso in due parti, che puoi leggere in questa pagina.
Qui vogliamo raccontare la storia di una donna, tra i sopravvissuti al massacro, la quale ha attinto alla forza interiore e al desiderio di verità, per trasformare l’odio in uno spirito di rinascita.
Parliamo di Yolande Mukagasana, nata nel 1954, a Butare. In quei sanguinosi giorni, Yolande perse il marito e i suoi figli. Fu testimone di atrocità inimmaginabili. Lei, che apparteneva all’etnia Tutsi, sopravvisse per miracolo.
Riuscì a scampare al massacro grazie all’aiuto di una donna appartenente all’etnia Hutu, Jacqueline Mukansonera. Attraverso questo gesto di una persona teoricamente ostile, Yolande Mukagasana ha raccolto i tasselli della sua esistenza, ha elaborato la tragedia che ha colpito lei e la sua terra, e ha cercato di riprendere in mano la sua vita realizzando progetti orientati alla pacificazione nazionale.
Yolande riuscì a trovare supporto e rifugio in Belgio, dove nel 1999 ottenne la cittadinanza.
Ad accompagnarla, il dolore per la perdita del marito e dei figli, ma anche la forza di quel gesto d’aiuto, da parte di una donna Hutu.
Sentiva che la sua esperienza dimostrava quanto le differenze e le rivalità etniche fossero da un lato, estremizzate, dall’altro piuttosto labili.
La scrittura per lenire le ferite
In Belgio, iniziò a dedicarsi alla scrittura: mettere per iscritto pensieri ed emozioni l’aiutò in qualche modo a fare ordine nel caos e a trovare lampi di luce nell’oscurità.
Tra i suoi libri ricordiamo “La morte non mi ha voluta” (pubblicato in italiano da Edizioni La Meridiana. Un testo in cui l’autrice narra gli eventi avvenuti nel ’94 in Ruanda, intrecciandoli con la sua biografia di infermiera. Ottenuto lo status di rifugiata politica in Belgio, racconta le profonde sensazioni interiori provate, senza mai pensare alla vendetta. Un altro suo intenso libro è Le ferite del silenzio. Testimonianze sul genocidio del Ruanda, realizzato in collaborazione con il fotografo belga Alain Kazinierakis.
Scrive Yolande nell’introduzione:
“Io non li odio […] Ho bisogno di salvaguardare ciò che il genocidio non è riuscito a distruggere dentro di me: l’amore. Ho così tanta paura di questi carnefici. Per me rappresentano la morte ingiusta, l’odio devastante e la crudeltà. Se riescono a distruggere quel po’ che mi resta, allora mi avranno sconfitto. Non glielo permetterò! Devo superare questa paura per dare una speranza ai bimbi ruandesi, ai bimbi del mondo, per proteggerli. Quando si parlerà del genocidio in Ruanda, dovranno sapere che si è trattato di una realtà e non di una leggenda. La ricostruzione può avvenire solo attraverso la verità e la giustizia”.
Spezzare facili stereotipi ed educare alla pace
Leggere le analisi sviluppate da Yolande è illuminante, permette di spezzare facili stereotipi e le più comuni considerazioni sul Ruanda di oggi. Si comprende come il cammino della giustizia sia stato e sia lento, imparziale, in molti casi assente, anche se molto è stato fatto, come testimoniamo i “luoghi della memoria e il lavoro del Tribunale penale internazionale per il Ruanda”.
Come ricorda Yolande, occorre educare i giovani alla pace:
“Sono convinta che per cambiare la società occorra occuparsi dell’educazione dei bambini, dato che è stato proprio il sistema educativo precedente a creare carnefici da un lato e vittime dall’altro”.
La storia di Yolande Mukagasana è un esempio.
Come ha sottolineato Laura Bonomi di Amnesty International:
“Attraverso la sua lotta per la giustizia e la sua voce incrollabile, Yolande ci ricorda che anche nelle situazioni più tragiche e oppressive, c’è sempre speranza e la possibilità di un cambiamento positivo”.
Silvia C. Turrin